“La propoli non smette di stupirci”

Oggi riproponiamo un articolo scritto da Luca Tufano e dal nostro presidente Aristide Colonna per il numero di luglio-agosto della rivista Apinsieme.

L ’ipersensibilità dentinale (DH) è una delle problematiche più diffusamente riscontrate dai dentisti. In alcuni paesi arriva ad interessare il 74% del-la popolazione, e generalmente è più diffusa nella fascia di età compresa tra i 20 e i 40 anni, coinvolgendo sia uomini che donne (benché le donne risultino più sensibili al problema).

L’esposizione della dentina – causa dell’ipersensibilità dentinale – può derivare da differenti fattori, tra cui la perdita dello smalto oppure la perdi-ta e/o recessione del tessuto gengiva-le a causa di differenti problemi fisici e/o chimici. I fattori causali che aggravano la DH includono diete acidogeniche, scorrette abitudini nello spazzolamento dei denti o materiali scadenti nell’igiene dentale, bruxismo, trattamenti farmacologici, invecchia-mento, condizioni genetiche, recessione gengivale e parodontiti (nota 1).
La DH provoca dolori acuti che sono causati dalla dentina esposta a stimo-li di tipo differente: termici, tattili, evaporativi, chimici od osmotici.

La sensazione dolorosa che può seguire all’aver addentato un gelato in estate, ad esempio, è assai nota e rappresentativa del disturbo.
Sono state suggerite diverse ipotesi per spiegare il meccanismo della DH e, ad oggi, la teoria più accredita è quella idrodinamica di Gysi e Branstrom. Sulla base di questa teoria, la sensibilità dentinale si produce con la diminuzione del flusso di liquidi all’interno dei tubuli dentinali. Una volta esposta la dentina, i tubuli dentali che contengono il fluido si aprono, provocando fastidio o dolore nel soggetto interessato. Pashley (1986) ha suggerito che la DH potrebbe essere ridotta fisiologicamente dalla formazione di cristalli intratubolari prodotti da minerali presenti nella saliva. In ambito clinico, diverse strategie vengono adotta-te per trattare questi disturbi.
Si tratta di interventi come la desensibilizzazione delle terminazioni nervo-se o il mascheramento dei tubuli dentinali. Per questi trattamenti si utilizzano sostanze come il nitrato di potassio, il silicato di calcio, il cloruro di stronzio, le vernici, alcune miscele composite, laser etc.
L’uso di prodotti naturali ha trovato una vasta gamma di applicazioni ne-gli studi dentistici nel recente passato. La propoli è uno di questi.
Sono note e ormai verificate le capacità antibatteriche, antivirali e antibiotiche della propoli, ma oltre a queste proprietà essa esercita anche una funzione sigillante degli spazi nell’alveare.

Le api la utilizzano, come una vera e propria vernice, per trattare le pareti del-le celle, al fine di abbassare la presenza microbica, così come viene utilizzata per chiudere orifizi o spazi e creare correnti di circolazione dell’aria nel nido, favorendo-ne la termoregolazione.

Dal punto di vista chimico, la propoli è composta al 50-60% di resine derivate dalle piante bottinate dalle api, dal 30-40% di cera, da un 5-10% di olii essenziali e il rimanente è polli-ne. È inoltre costituita da circa 300 composti organici oltre a microelementi come calcio e alluminio.

I composti chimici appartengono alle categorie degli acidi fenolici e dei flavonoidi. La propoli ha capacità oltreché antivirali, antimicrobiche e antinfiammatorie, anche anestetiche e antiossidanti (abbattimento dei radicali liberi).

Una recentissima ricerca (nota 2), ha voluto sperimentare la propoli in modalità differenti rispetto a quelle già te-state in passato per il trattamento della DH. La propoli è infatti già stata ampiamente utilizzata per il trattamento di questa patologia dentale in soluzioni gel, mentre la possibilità di una vernice di derivazione naturale non era ancora stata presa in considerazione.

Lo scopo di Kripal e colleghi era quello di valutare l’effetto di una vernice a base di propoli finalizzato all’occlusione del tubulo dentinale, favorendo così il trattamento della DH. L’esperimento è stato condotto in vitro e per le verifiche sperimentali è stato utilizzato il microscopio elettronico a scansione (SEM). Il SEM utilizza gli elettroni in modo molto simile a quanto avviene con i fotoni con microscopi ottici.

Tuttavia, dato che la lunghezza d’onda degli elettroni è più piccola di quella dei fotoni, la risoluzione del microscopio elettronico SEM è superiore a quella del microscopio ottico di circa 1000 volte. Uno dei limiti di questo studio è che non essendo stato condotto in vivo, non è stato possibile verificare le reazioni non replicabili artificialmente di un cavo orale, in cui la presenza di acidi potrebbero intervenire.

Tuttavia il risultato in vitro è estrema-mente incoraggiante. In questa indagine, l’entità dell’occlusione dei tubuli dentinali dopo il trattamento con vernice a base di propoli è stata valutata contando il numero di tubuli aperti prima e dopo il trattamento. I risultati dell’analisi statistica hanno dimostrato una significativa riduzione del numero di tubuli aperti dopo l’applicazione di vernice contenente propoli. Il numero di tubuli occlusi è risultato essere di circa il 61,75%.

I flavonoidi presenti nella propoli vengono indicati come gli elementi bioattivi in grado di stimolare la ripa-razione della dentina. L’azione dei flavonoidi, inoltre, osservano Kripal e colleghi, così come già evidenziato da altri ricercatori, potrebbe essere alla base degli effetti immediati di sollievo attribuiti ad applicazioni di propoli. Si è inoltre osservata un’ottima tenuta tubolare della propoli che sembra indicarla come un valido sostituto del preparato a base di nitrato di potassio al 5%, molto usato per alleviare le DH.
È stato infatti dimostrato (Hussain et al., 2016) che pazienti trattati con gel di propoli sui quali è stato successivamente effettuato il trattamento sbiancante dei denti, non hanno riscontrato problematiche collegate a una nuova insorgenza di DH.

La propoli si è rivelata, in conclusione, un ingrediente base delle vernici estremamente valido e alternativo rispetto a prodotti di sintesi.
Saranno tuttavia necessarie altre ricerche e studi clinici per evidenzia-re la fattibilità di un trattamento delle DH con vernice a base di propoli e suoi effetti sul cavo orale in pazienti affetti da ipersensibilità dentinale.

Note
1) Le pulpìti, così come le parodontiti, pos-sono provocare un abbassamento del colletto gengivale sino a scoprire del tutto l’alveolo dentario, e costituiscono una delle cause degli attacchi alla denti-na.
2) «Treatment of dentinal hypersensitivity using propolis varnish: A scanning elec-tron microscope study» di Kripal K, Chandrasekaran K, Kumar V., Chavan S.K, Dileep A. pubblicata su Indian Journal of Dental Research (29 maggio 2019).

Istantanee dal corso di Apicosmesi

Qualche scatto dall’ultimo corso (per quest’anno!) organizzato dall’Associazione Italiana Apiterapia. Nella nostra sede di Mazzano Romano con la dottoressa Deborah Subissati per scoprire le possibili applicazioni dei prodotti dell’alveare in ambito cosmetologico. Dopo un esame delle caratteristiche della cute dei soggetti coinvolti, si va a scoprire il possibile uso ad esempio di miele, polline, propoli e pappa reale sulla pelle. Ancora una due giorni proficua. Appena possibile comunicheremo il calendario della prossima stagione!

Miele e trattamento delle ferite

Oggi riproponiamo un articolo scritto da Luca Tufano, dal nostro presidente Aristide Colonna e dall’agronoma Beti Piotto sulla rivista Apinsieme nel mese di settembre.

Miele e trattamento delle ferite

Negli ultimi anni i mezzi di comunicazione riportano notizie sempre più allarmanti, e in molti casi giustificate, relative alla resistenza dei batteri ai trattamenti antibiotici.

In effetti, diversi studi recenti hanno puntualmente segnalato l’emergere di batteri multi-resistenti sia nell’ambito della medicina umana che veterinaria. È pertanto ragionevole che il mondo della ricerca si interroghi e cerchi di trovare delle soluzioni alternative o integrative ai prodotti oggi in uso nella medicina moderna, e non a caso la stessa industria farmaceutica sta sviluppando la propria indagine in questa direzione.

Esiste poi un altro approccio, tutt’altro che banale, che pone l’attenzione
sui principi attivi, spesso negli ultimi decenni trascurati, contenuti nei prodotti naturali. I prodotti naturali, in alcuni casi, possono essere utilizzati in alternativa a prodotti farmacologici di sintesi o costituire un’integrazione alle cure convenzionali della medicina moderna. Tra le discipline che si interessano di questo ambito della ricerca vi è certamente l’apiterapia, sulla quale è opportuno fare alcune necessarie precisazioni.

Sottolineiamo ancora una volta come l’apiterapia debba essere correttamente intesa come integrazione della medicina moderna e non come una sua sostituta. Non a caso, tutti gli articoli che propone l’Associazione Italiana di Apiterapia si basano sulle più recenti acquisizioni scientifiche, a dimostrazione che noi non parliamo né di fantasie né di medicine “alternative”, ma al contrario di applicazioni cliniche verificate secondo i criteri oggettivi e statistici della ricerca moderna. Con l’apiterapia siamo in tutto e per tutto nell’ambito della medicina moderna, osservando però le cose con un occhio nuovo, aperto alle sperimentazioni, al confronto e all’innovazione, come spesso accade in chi non è mosso da interessi di “bottega”.

Tra i prodotti naturali che attirano l’attenzione dei medici e dei ricercatori, spiccano certamente i prodotti dell’alveare e, tra di essi, il miele ha un posto di eccellenza. Il miele, come noto, è una concentrazione viscosa di zuccheri prodotti da Apis mellifera a partire da fonti nettarifere o da melate. L’utilizzo del miele per la cura delle ferite e delle malattie dell’intestino è largamente attestato nella storia, e ne troviamo
diversi esempi preso gli Egizi, gli Assiri, i Greci, i Romani e i Cinesi.

Dall’archeologia sappiamo che gli antichi Egizi usavano il miele come
trattamento per le ferite già nel 3.000 a. C. e una ricetta standard a base di miele, prodotta per la cura delle ferite, è indicata con chiarezza nel papiro Smith, un testo egizio risalente al 2.600-2.200 a.C.

Le stesse tombe egizie ci hanno consegnato vasi di mieli che, essendo stati sigillati, non hanno subito importanti alterazioni o decomposizione grazie alle proprietà batteriostatiche del miele. Dalla letteratura scientifica contemporanea sappiamo che il miele è in grado di ridurre le infiammazioni, il gonfiore, il dolore e gli odori sgradevoli, ragione per cui è stato largamente utilizzato nel trattamento delle lesioni della cute.

Inoltre, facilita la separazione del tessuto necrotico senza rendere necessario l’intervento chirurgico. Essendo una sostanza acida, inoltre, favorisce l’attività antibatterica. Nonostante il miele sia composto prevalentemente da fruttosio e glucosio, esso contiene anche oligosaccaridi, aminoacidi, minerali ed enzimi.

Più recentemente è stato riportato da diversi studi che i mieli possiedono
attività inibitoria su circa 60 specie di batteri aerobi e anaerobi, gram-positivi e gramnegativi. È stata osservata anche un’azione antifungina per alcuni lieviti e specie di Aspergillus e Penicillium.

Nell’ambito del trattamento delle lesioni cutanee con l’utilizzo di miele,
un altro tassello importante è stato fornito da una ricerca del 2018, condotta
presso il Benha Teaching Hospital, in Egitto (leggi nota 1 in fondo all’articolo).

I test clinici condotti sui pazienti dal team coordinato dal dottor Mohamed
Aly Ehorbity si sono svolti in un periodo di tempo compreso tra il 2014
e il 2016. Sono stati coinvolti nei test clinici 100 pazienti di età compresa
tra i 20 e i 60 anni, di cui 56 maschi e 44 femmine, tutti con ferite o piaghe
infette derivate generalmente da patologie come il diabete.

I pazienti trattati sono stati suddivisi in due gruppi (gruppo A e gruppo B): 50 pazienti sono stati trattati con miele e 50 con povidone-iodio.

I pazienti del gruppo A sono stati trattati giornalmente con miele di
Apis mellifera, mentre per i pazienti trattati con povidone-iodio (gruppo
B), impiegato abitualmente per la disinfezione e cura delle lesioni cutanee,
si è utilizzata una soluzione al 10%. Per evitare di falsare i risultati, sono stati esclusi dai test tutti quei pazienti che presentavano ipersensibilità al miele e/o al povidone- iodio.

I risultati raccolti da Aly Elhorbity e colleghi dimostrano che le guarigioni
raggiunte con l’impiego di miele sono state più rapide e definitive:
da un minimo di 10 giorni a un massimo di 6 settimane il miele
ha dimostrato i suoi effetti curativi sui pazienti, contro le circa 2
-8 settimane delle cure con povidone-iodio. Inoltre – e questo è un
elemento tutt’altro che secondario – il trattamento con miele è stato meglio
tollerato dai pazienti essendosi rivelato meno doloroso, nonché più
economico
.

Quest’ultimo dato è particolarmente interessante se si considera la necessità di trattamenti sanitari in Paesi meno sviluppati e con budget di spesa sanitari limitati, così come può essere un elemento di grande interesse anche per la sanità dei Paesi più sviluppati, in cui spesso si avverte il problema di un contenimento dei costi compatibile con il mantenimento di elevati standard terapeutici.

Il miele ha dunque dimostrato, in questi test clinici, di poter essere utilizzato efficacemente in alternativa ai trattamenti convenzionali, rivelando inoltre una migliore tolleranza per i pazienti e tempi di efficacia più rapida rispetto ai principi attivi di sintesi normalmente impiegati nel trattamento delle lesioni cutanee. Il tutto, inoltre, a costi più contenuti rispetto ai farmaci convenzionali.

Note
1) «Food Bee Honey versus Conventional Antiseptic in Local Management of Acute Infected Wounds» di Mohamed Aly Elhorbity e colleghi, pubblicata nel marzo del 2018 sul Journal of Surgery And Emergency Medicine. Per la ricerca integrale, vedi il link: http://www.imedpub.com/articles/food-bee-honey-versus-conventional-antiseptic-in-local-management-of-acute-infected-wounds.pdf

Associazione Italiana Apiterapia